Dopo aver letto Il cardellino di Donna Tartt

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Il Cardellino di Donna Tartt

cover225x225Quando leggo un libro mi piace diventare il più possibile, parte del contesto in cui la storia si svolge. E’ come guardare un film. Nella mia mente si tratteggiano i personaggi, i luoghi, le cose e ogni pagina che volto è  un fotogramma  che va ad impressionare la pellicola della mia fantasia. Ecco perché non mi interessa vedere prima il film e poi leggere il libro da cui è stato tratto, mi sembrano due realtà che si sovrappongono, mi sento derubata della mia immaginazione, del modo in cui quella storia si sarebbe svolta per me.
In questo caso nel libro ci sono riferimenti reali e concreti che ho voluto esaminare più da vicino a partire dal Cardellino che dà il titolo al romanzo.
Ho cercato su Google (benedetta la rete in questi casi!) e l’immagine che ho trovato rappresenta un delizioso cardellino tenuto legato per la zampetta ad un trespolo fissato contro una parete , forse all’esterno di un balcone, dipinto da Carel Fabritius nel 1654 in Olanda. Oggi questo quadro è conservato nel museo Mauritshuis de L’Aia, ma nel romanzo era esposto al Metropolitan Museum di New York .
Rispetto  la libertà di immaginazione della scrittrice per la quale il piccolo ritratto è solo un punto di partenza per la storia che ha voluto raccontare e che mi ha dato l’occasione di conoscere un pittore di cui non avevo mai sentito parlare.
Sono andata sulla mappa di New York e ho seguito il percorso che Theo e sua madre fanno prima dell’incidente fino al museo e mi sono sentita ancora più vicina a loro.
Quando poi nel ritratto della sua bella madre “fiera ed elegante come una puledra di razza” Theo ne descrive l’acconciatura dei capelli “raccolti in una coda bassa simile a quella di un nobiluomo uscito dalla Storia di Genji” ho scoperto che questo romanzo è considerato il capolavoro della letteratura femminile giapponese, primo esempio del romanzo psicologico.
Leggere è bello, ma rimanere legati solo alla trama non mi basta. Voglio entrare a far parte della storia che mi viene raccontata quanto più possibile, e questa estrema curiosità mi aiuta ad arricchire il mio patrimonio culturale. Naturalmente molto spesso i racconti che leggo sono frutto di fantasia e anche i riferimenti geografici non sempre corrispondono alla realtà, ma aiutano ad immaginare come può essere un giorno di freddo a Stoccolma o una giornata di pioggia a New York, come le vicissitudini dei personaggi raccontati, immaginate o no, siano differenti  se si svolgono al mare o in montagna.
Oggi, sempre leggendo il Cardellino,  mi sono lasciata guidare in una passeggiata da Washington Square alla Decima strada Ovest ( le mappe di Google mi hanno aiutato molto e la visione Earth riesce a farmi sentire veramente sul posto) alla ricerca di Hobart e Blackwell un negozio-laboratorio di antiquariato. Mi sono sentita veramente sotto gli alberi di questo viale un po’ British con le sue vecchie case rosse una attaccata all’altra con piccole gradinate che scendono sotto il piano stradale o salgono al primo piano.
Da New York si parte per Las Vegas in Nevada e qui comincia, da quel che ho potuto capire leggendo, il tempo dell’abbandono. Theo un ragazzo di 15 anni è lasciato spesso da solo anche per più giorni da un padre incosciente, nulla facente e beone e dalla sua compagna. Inizia la fase dell’alcool, della droga, dei furtarelli e delle cattive compagnie. Quante volte mi verrebbe voglia di gridare: “No Theo, no tutto questo non va bene!” poi mi rendo conto di essere solo una spettatrice, anzi una uditrice  di una storia che si è già svolta e che posso solo ascoltare e immaginare senza poter intervenire se non scuotendo la testa. Io tifo per quel cardellino solitario relegato su un trespolo attaccato al muro che guarda e può solamente interagire con quello che lo circonda, fino a dove la catena che lo tiene legato gli permette di arrivare.
Nel romanzo ho colto i traumi prodotti dagli attacchi terroristici, non solo i morti, le macerie, ma, nei sopravvissuti, i sensi di colpa, il dolore della perdita, la paura che stringe le viscere, la solitudine, l’impotenza distruttiva di ogni speranza futura. Ho riflettuto sulle vere vittime del terrorismo: i superstiti.
Un bambino che all’improvviso resta solo, incustodito, privato anche dell’affetto della madre, già suo unico riferimento dopo l’abbandono da parte del  padre alcolizzato, diviene facile preda di chiunque gli mostri un minimo d’attenzione senza badare allo stile di vita, al vizio, alla sregolatezza, alla disonestà.
“Se un quadro ti affonda davvero nel cuore e cambia il tuo modo di vedere e di pensare e di provare emozioni, non pensi, “oh, amo questo quadro perché è universale…” Non è questa la ragione per cui ci si innamora di un’opera d’arte. E’ un sospiro segreto in un vicolo,  … un intimo colpo al cuore. “ “…un quadro veramente grande è abbastanza fluido da farsi strada nella mente e nel cuore da ogni possibile angolazione, in modi unici e molto particolari. Sono tuo, tuo. Sono stato dipinto per te.”