La sfida educativa

Tutto e subito ,come voglio io…questo sembra essere il motto degli individui che costituiscono la società attuale e da cui provengono i nostri alunni.
Se guardiamo alla tecnologia ci rendiamo conto di quanto poco durino apparecchi e sistemi, e di come tuttavia, essi sappiano diventare velocemente necessari.
Il cellulare è diventato l’ estensione della mano, le cuffiette dell’orecchio, il motorino delle gambe e così via, tanto che ho visto una 15enne piangere disperatamente per aver perduto l’IPOD come fosse stato un familiare.
Questo modello di rapporto con la materialità fa perdere l’orientamento tra gli obiettivi veramente significativi e quelli solamente accessori.
La scuola è avvertita come una perdita di tempo, una costrizione obsoleta che prolunga uno stato adolescenziale punitivo più che di crescita, una mera attesa di raggiungere la maggiore età o meglio, l’ indipendenza finanziaria che oggi, guarda caso, è il traguardo più lontano da raggiungere .
I programmi delle discipline sono in disaccordo con le richieste immediate del vivere sociale, non si trovano in esse le risposte che “servono” ma molto spesso rappresentano solo una fastidiosa parentesi, lo scotto da pagare per entrare a far parte a pieno titolo della società attiva.
La scuola non è efficace se non entra a pieno nell’utilità dei processi produttivi ed economici.
Di fronte a questo panorama gli adulti e, nello specifico, i docenti cercano di accontentare il cliente offrendo quante più proposte possibili e sempre più rispondenti alle sue aspettative.
Le scuole, nella loro offerta formativa, garantita dall’autonomia, pullulano, quindi, di corsi per il patentino del ciclomotore, per la patante europea del computer, per l’apprendimento delle lingue (quelle del turismo lo spagnolo…), corsi di ballo e di teatro, gruppi musicali e quant’altro possa servire per addolcire la pillola dell’obbligo scolastico e attirare la labile attenzione dell’adolescente.
Le famiglie di provenienza, luoghi ufficialmente deputati all’educazione, sono costituite da “adulti” cresciuti nel modello educativo scaturito dal ’68 dove il principio fondamentale era ”per mio figlio tutto quello che non ho avuto io”.
Questo contesto familiare, troppo spesso fragile e discontinuo, non rappresenta un punto di riferimento sempre valido e unico.
La cellula familiare, anche a causa delle necessità lavorative, viene spesso sostituita da nonni permissivi e deboli o ancor peggio da amici e/o fratelli appena più grandi e inconsapevoli.
L’adolescente passa il suo tempo in due modalità del tutto contrastanti, o sempre più solo ripiegato su tastiere, telecomandi e video giochi, o sempre troppo fuori casa in strada e in locali con amicizie più o meno casuali.
L’istituzione, presa coscienza di questa realtà ,cerca di opporre resistenza attraverso la scuola alla quale si chiede si sostituire tutto ciò che manca ad una crescita equilibrata e di diventare, fino alla maggiore età dell’alunno, la parola chiave della educazione.
In questo contesto il docente sente di aver perso il suo ruolo di maestro ,nel senso canonico del termine, è perplesso e spesso demotivato non sapendo perché deve insegnare quello che insegna ad alunni che non sanno perché devono studiare quello che studiano.
“Diventa difficile proporre alle nuove generazioni qualcosa di valido e di certo, delle regole di comportamento e degli obiettivi per i quali meriti spendere la propria vita” ha detto Paola Bignardi, pubblicista, membro del Comitato per il progetto culturale della Cei.
Non a caso Benedetto XVI ha parlato di emergenza educativa.
La parola emergenza è sinonimo di rischio, di allarme e preannuncia una situazione di pericolo che va affrontata con tempestività e con decisione.

Tutto questo rappresenta una sfida, che oltre alla ferma volontà di vincere, richiede preparazione , costanza e soprattutto passione.
Al di là di ogni modello pedagogico, di qualsiasi tecnica educativa, sono sicura che nel rapporto con i giovani ogni adulto, sia esso genitore o insegnante, debba innanzitutto partire dal cuore .
Per la scuola ripristinare il colloquio con i propri alunni è fondamentale, ascoltare per essere ascoltati , non parlare per distribuire notizie, ma comunicare, coscienti di avere di fronte una persona molto spesso scoraggiata e sfiduciata.
Quando ho questioni importanti da risolvere so che è inutile parlarne con i grandi” (Bianca come il latte, rossa come il sangue, Alessandro D’Avenia) l’abbiamo detto tutti e continuiamo a farlo. Certo i punti di vista cambiano, l’angolazione dell’obiettivo che inquadra le scene della vita è molto diversa da un punto all’altro e gli anni sono luoghi di osservazione che cambiano giorno dopo giorno, a seconda dei sogni che si avverano o si spengono o si trasformano in incubi.
Oggi credo che in questa affermazione ci sia molto di più, una sfiducia di fondo in chi non sa e non vuole mostrare interesse , e non si sforza di stare a sentire.
«L’educazione è cosa di cuore… » lo diceva già Don Bosco oltre cento anni fa e il cuore non è passato di moda.

Buon anno scolastico a tutti.

 

 

 

 

 

 

 

La sfida educativaultima modifica: 2010-09-11T20:58:00+02:00da elisaber
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