Il libro La ragazza che guardava il cielo di Alberto Reggiori me l’ha prestato un amico invitandomi a leggerlo.
La prima impressione è quella distaccata di chi vede un film o una fiction, come si dice oggi, ti commuovi, ti lasci prendere dalla storia che una volta finita lascia il tempo che trova. Tutto sembra irreale, lontano e fantasioso, ti trovi a pensare che c’ è gente che soffre di più o diversamente da te, ma tutto sommato non ti riguarda.
L’Africa è lontana, se ne parla e si vede nei telegiornali dove vengono comunicati i continui eventi bellici, le epidemie mortali, i disastri naturali, ma sono cose che non ti coinvolgono più di tanto, ognuno conosce i suoi guai.
Poi ti rendi conto che c’è gente che lascia questo occidente tranquillo, il benessere e la pace per incunearsi tra la malattia, la sporcizia, la sofferenza che non li riguarda e decide di spendere il proprio patrimonio di solidarietà tra quella gente così lontana, in tutti i sensi.
Ti senti un verme, perché sprechi l’acqua dei rubinetti, butti via gli avanzi del cibo, accantoni abiti appena usati e ti sembra naturale, semplice e senza colpa e ti perdoni, perché il tuo mondo è così e non l’hai scelto tu.
Poi mi viene da paragonare il mondo in cui vivo, l’emisfero occidentale, la società del benessere, della tecnologia più avanzata, con il cosìdetto 3° mondo e mi chiedo con sospetto se non siano necessari anche qui da noi dei missionari capaci di amare senza condizioni.
Se guardo attentamente intorno a me vedo diffidenza, egoismo, indifferenza. La solitudine è sempre più tangibile e porta alla rabbia cieca o alla disperazione che annienta. Quando un padre dimentica il proprio figlio in macchina lasciandolo morire, quando il marito uccide la moglie per poter stare con l’amante, quando il figlio uccide i genitori per i soldi della droga allora vuol dire che la devastazione è ormai in atto. Non quella delle bombe e della fame, ma quella che proviene dalla distruzione inconsapevole del proprio essere persona.